"E quando non sai come finire il film, li fai incontrare..."

Sì, d’accordo, ma perché accanirsi a parlar male di Giovani, film "tutto in digitale!" dei fratelli Mazzieri, l’unico titolo italiano nelle sale in questi giorni che non sembra così tanto un film italiano?
Alcuni punti si potrebbero anche difendere (certo, dopo qualche aperitivo).
Ad esempio, c’è una città che fino alla fine non ho capito essere Parma, così fredda e livida, e che si intravede sempre dietro qualcuno o qualcosa, e che risulta più misteriosa osservata così da vicino.
Ci sono due ragazzi che di cinematograficamente "giovane" avrebbero tutto, però restano lontanissimi dai sorrisini alla Fortezza Bastiani. Ok, espressioni e sguardi degli attori sono pressoché immutabili in qualunque scena, ma forse nella vita reale giovani così li conosciamo davvero.
Ci sono un paio di ottimi attori maturi, che cercano di tenere insieme la baracca e mi piacciono (un po’ come in certe squadre di calcio di una volta si inseriva "la chioccia", il giocatore anziano che funzionava da termostato dello spogliatoio).
C’è una storia che cerca di mettere dentro ogni cosa (compreso il padre pittore che attraversava "la fase dell’incomunicabilità", ma per favore...) e che perciò sbraca. Però, almeno, ha tentato di raccontare qualcosa di diverso.
Insomma, "Giovani" potete forse risparmiarvelo, ma non dategli troppo addosso.


Aggiungo alle 14.20. Ciascun personaggio rischia di sicuro la stigmatizzazione, per questo nel giudizio vien facile rifugiarsi nel cliché e nel banale per liquidare in fretta il tutto. Superficialmente, senza dubbio. Oggi pensavo che sono di sicuro meno intransigente di qualche minuto fa, dal punto di vista formale, a vantaggio dell'oggetto di cui appunto si mette in scena, e che originalità e innovazione non devono esser considerati discriminanti senza possibilità di discussione.
Capisco che non è troppo chiaro, ma il motore che genera pensieri e sentimenti ha struttura spesso ben poco originale (andare a letto col professore del cuore, ad esempio: chi non vorrebbe esser così stereotipato?) e la vita, non ci stupisce, è sotto alcuni aspetti, essa stessa, di una folgorante banalità.

Ochei, però continua a sfuggirmi il motivo per cui il film è, alla fine (ma soprattutto durante, vi assicuro), una scassatura di minchia inenarrabile e, allo stesso tempo, il motivo per cui risulta poco faticoso il non dargli troppo addosso (e' lì, dannazione il punto, nonostante tutto, c'ha questo suo spocchioso rigueur pavmense, che intima rispetto)
Forse perchè, grazie al cielo, la fatica (di vederlo) l'abbiam già fatta.

Commenti