This wasn’t exactly how I planned it

Pete Astor - Spilt Milk

Eri convinto di conoscere tutte le risposte, hai sempre fatto credere a tutti di saperla lunga, come se per te il tempo non dovesse passare mai. Continuavi a muoverti con una sicurezza negli occhi che doveva fare invidia. Non ti sei mai accorto che, a poco a poco, il silenzio che ti circondava non era più rispetto ma cortese imbarazzo. Non ti mai sei reso conto che, a poco a poco, quella che consideravi una riconosciuta maturità, una ragguardevole esperienza si era ridotta a un irrilevante vivere di ricordi, di cui non importava ormai niente a nessuno.
Sembra avere queste sfumature il sentimento predominante dentro Spilt Milk, il nuovo disco di Pete Astor, cantautore britannico che aveva già dato molto alla storia dell'indiepop, avendo fatto parte negli Anni Ottanta di due band considerate oggi seminali come Weather Prophets e Loft, di casa alla Creation. Lungo queste nuove dieci canzoni si avverte il tono agrodolce del rimpianto, ma è come se ogni parola fosse smorzata, attutita da un'abbondante dose di serenità. I personaggi sono in qualche modo scesi a patti con il passare delle stagioni, e anche se forse non l'hanno accettato del tutto, sembrano ormai ritenere inutile la rabbia e lo scontro frontale. "Watch out / there goes a lifetime / there it goes" (da There It Goes). Non è rassegnazione: è soltanto che dobbiamo andarcene di qua, tanto vale - per quanto possibile - farlo con un sorriso. "This wasn’t exactly how i planned it / This wasn’t exactly the way it was meant to be" riconosce Good Enough. Si cerca di restare a galla in un mondo fatto di ipocrisia: "I do everything I’m supposed to do / I smile and I say the right thing / but I know I’m not fooling you" (Good Lock). Anche l'amore, in fondo, è un compromesso: "I thought the idea was me and you would last forever" (Really Something). E in tutto questo, ad Astor non manca l'autoironia: la scena descritta da Mr. Music per esempio vede come protagonista proprio un vecchio cantante che non vuole più abbandonare il palco, e il ritornello domanda "when will he let it go?".
Una visione limpida e tranquilla che si traduce in un suono cristallino, spartano ma non privo di calore, tutt'altro. Per questo album, che esce per Fortuna POP! e Slumberland, praticamente una garanzia, Astor ha potuto contare sulla collaborazione di James Hoare (già Veronica Foals, Ultimate Painting e altri). Non è un caso: in fondo Hoare è solo uno degli ultimi in ordine di tempo (dopo Belle & Sebastian, Hefner, Wave Pictures, giusto per citarne alcuni) a raccogliere l'eredità di un indiepop raffinato che proprio Astor aveva contribuito a fondare.



Pete Astor - Really Something

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